Virginia Hayley: la sfarzosa decadenza dell'epoca vittoriana
XIX secolo, tempo di imperi coloniali e rivoluzioni ideologiche, di menti visionarie e macchine a vapore, di sovrani illuminati e progresso scientifico.
L'apice di un'intera civiltà: questo era l'Ottocento.
Le guerre su vasta scala cedevano il passo a schermaglie sempre meno convinte. Le grandi nazioni, proiettate verso un futuro delle più limpide speranze, trasformavano gli antichi rancori di lunga data in sana rivalità, inseguendo ognuna a modo proprio la massima espressione della condizione umana.
I singoli individui, gli accademici, si sarebbero resi conto dell'eccezionalità degli anni che andavano vivendo solo in un secondo momento, agli inizi del Novecento, coniando adeguati termini celebrativi. Ma la svolta, il vero punto d'inizio, scaturì senza ombra di dubbio dall'incoronazione della regina Alexandrina Victoria, suprema maestà di Regno Unito e Irlanda.
Anno 1892. Londra. Ci troviamo nel pieno dell'età vittoriana, tra le strade del simbolo stesso della supremazia britannica nella corsa al domani. È un affresco caotico, multiforme, contraddittorio. Un'elaborata cupola dalla facciata d'oro massiccio, tempestata di buone maniere, smaltata di raziocinio e incastonata di auliche promesse. Eppure, sotto la superficie, si nasconde il fumo acre dell'intolleranza, la nera caligine del carbone e della discriminazione, la lordura dei ceti meno agiati, la disperazione dei miserabili.
Nessuna parentesi della Storia umana può, ad oggi, vantare una simile dualità, un conflitto interno così incongruente, dove la prosperità procede di pari passo alla bassezza.
La società è spaccata. Le menti divise. Le coscienze non riescono a svincolarsi completamente dai preconcetti dei Secoli Bui.
Coesistono contemporaneamente scienza e misticismo, istruzione e oscurantismo, disciplina ed esoterismo. Religione e raziocinio combattono all'ultimo sangue, intrappolati in uno stallo sfibrante.
Le istituzioni non hanno mai formato tanti dottori. Le aule di giustizia straripano di legislatori. Scuole e università raggiungono il loro picco massimo.
Arte, poesia, inventiva e sperimentazione tecnologica sono inarrestabili.
Tuttavia non è abbastanza.
Il risvolto della medaglia, il prezzo del perfezionamento, è la paura.
Paura che ci si spinga troppo oltre. Paura delle proprie idee liberali, delle proprie inclinazioni moralmente scomode. Paura dell'ignoto.
Vige un clima di sottile terrore, tra i quartieri di Londra, paradossalmente localizzato tra le eleganti abitazioni del West End piuttosto che tra i tuguri fatiscenti dell'East End che affacciano sul Tamigi.
Non è raro, perfino tra le menti più brillanti, cercare sollievo nella pipa d'oppio, o nelle case di piacere. Momenti in cui, al riparo dagli ipocriti giudizi altrui, la natura umana può finalmente sguazzare nella sfera delle appaganti perversioni.
Perché in fondo è di questo che si parla. È questa la vera essenza dell'epoca vittoriana: il vizio.
L'Uomo finge. Incessantemente. Ogni secondo di ogni singolo giorno deve fingere di essere ciò che gli altri si aspettano che sia, mentre la pubblica opinione si erge a giudice, giuria e carnefice.
È estenuante, e pericoloso.
È un qualcosa che fa scaturire fantasie, torbide come solo l'esasperata morale perbenista dell'Ottocento poteva suggerire.
In tale contesto, non è dunque una sorpresa l'avvento, e lo straordinario successo, dei due fenomeni che più di ogni altro hanno plasmato l'immaginario collettivo della Londra vittoriana, affermandosi nel folklore del XIX secolo: i penny dreadful e le Grand Guignol.
Nati come intrattenimento sensazionalistico a basso costo, i penny dreadful, o "spaventi da un penny", accoglievano tra le proprie paginette spiegazzate improbabili storie dell'orrore infarcite di banalità e disegni al limite del grottesco.
«Gli occhi devono essere più grandi, e ci dev'essere più sangue, molto più sangue!» esclamavano i redattori del giornaletto, secondo i più divertenti aneddoti dell'epoca.
Una formula che, contro ogni aspettativa, non solo attecchì sulla curiosità dei ceti meno esigenti e acculturati, ma anche sulla borghesia benestante, divenendo un vero e proprio fenomeno di culto.
Spettri, vampiri, demoni, entità maligne assortite: un campionario da incubo senza pari, nella letteratura di genere. Letteratura di genere che fino ad allora, dato l'esiguo numero di testi, neppure avrebbe potuto definirsi tale.
Difatti è proprio grazie ai penny blood che, appena pochi decenni dopo, i primi grandi romanzi gotici, come oggi li intendiamo, si affermarono passando agli onori della cronaca, guadagnandosi di diritto un posto nel panorama letterario.
Non furono però gli inglesi, nonostante le ottime premesse, a raffinare il "culto del terrore", bensì i francesi.
Era il 1897 quando un certo Oscar Métenier, fondatore e direttore di un semisconosciuto teatro parigino, prese la decisione che avrebbe consegnato per sempre il genere horror alla notorietà.
Métenier, si racconta, stufo di non poter competere con i teatri più rinomati della città, e ispirato dalla crescente diffusione dei penny awful, nonché dal curioso successo dei sopracitati romanzi gotici, inaugurò Le Grand Guignol: il più sordido, perverso e osceno spettacolo teatrale mai concepito.
Sesso, sangue, nudità, infanticidi, vendette, decapitazioni, sgozzamenti: il tutto portato in scena dal vivo, con attori in carne ed ossa.
Fu uno scandalo. Alcuni invocarono la censura, altri la polizia, a difesa della pubblica decenza.
Il successo del signor Métenier divenne in breve tempo planetario. Letteralmente. La sua formula fu esportata in ogni Paese del mondo, imitata ed acclamata.
Per più di cinquant'anni Le Grand Guignol inscenò le nefandezze di prostitute e assassini, protagonisti assoluti, introducendo, e sdoganando al grande pubblico, tematiche quali occultismo e paranormale.
Poi arrivò la Seconda Guerra Mondiale, e le persone si dissero sazie di atrocità, atrocità che per la prima volta si dimostrava più cruente nella realtà che sul palcoscenico.
Eppure l'opera di Métenier, caduta in rovina, sopravvive ancora oggi, sebbene in forma diversa, ereditata da Cinema e Televisione.
Perché l'Uomo sarà sempre affascinato dalle tenebre della propria anima, ammaliato dalla ripugnanza della dissolutezza.
"Il mistero di Virginia Hayley" è figlio diretto delle tematiche appena affrontate.
Tra le oscure pieghe dei suoi capitoli v'imbatterete in creature dannate, intrighi, cospirazioni, drammi sanguinari e segreti inconfessabili. Assisterete in prima persona all'opulenta fragilità di un'epoca irripetibile, sondando gli abissi delle pulsioni umane. E forse, alla fine, comprenderete che i mostri peggiori non sono quelli che sfoggiano zanne e artigli, ma quelli che lusingano con sorrisi e accortezze.
(testi di Alessio Filisdeo)